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ALCHECHENGI, Physalis Alkekengi

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silvanapat
view post Posted on 4/5/2008, 13:27




ALKEKENGI - Physalis Alkekengi



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'Alkekengi (Physalis alkekengi L.) è una pianta perenne che produce bacche commestibili; appartiene, come il pomodoro e la patata, alla famiglia delle Solanaceae.

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fiore di Alchechengi


L'Alkekengi ha origini in Europa e Asia.

Date le sue proprietà omeopatiche e medicinali è coltivata fin dall'antichità.

È un'erbacea perenne e si riconosce facilmente per i calici che avvolgono la bacca, simili a piccoli lampioni arancioni.

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Al tatto il calice ha consistenza quasi cartacea e spesso è poroso. Ci si aspetta un petalo ma se si cerca di spezzarlo è molto più tenace e resistente. Nonostante questo si apre facilmente a mani nude.

Non è da confondere con il Physalis peruvianus (chiamato anche Cape gooseberry) che è della stessa forma e struttura ma beige e con la Physalis ixocarpa che produce una bacca molto più grossa, verde (o porpora) e simile a un pomodoro sempre, però, rivestita da un calice verde (o porpora) con forma simile all'alkekengi.

Si coltiva facilmente, da origine ad un rizoma strisciante interrato molto profondamente: in questo modo è permessa la propagazione e la rivegetazione conseguente alla stasi invernale.

Anche secondo l'uso popolare, possiede molte proprietà terapeutiche tra le quali spiccano azioni contro i calcoli renali e vescicali e come forte diuretico inoltre anche come integratore di vitamina C.

I calici di colore arancione acceso tendente al rosso che avvolgono le bacche di questa specie rendono la pianta adatta a fini decorativi.

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Calice di Alkekengi


Unica parte commestibile della pianta. In genere sono mature a settembre ed hanno la forma di una piccola ciliegia.

Dalle bacche si può ricavare un'ottima marmellata.

Si possono mangiare da sole o aggiunte alle insalate.

Se seccate leggermente si possono mettere sott'aceto o in salamoia.

Contiene una grandissima quantità di vitamina C, acido citrico, tannino e zucchero.

In erboristeria si usava per le malattie in cui c'era bisogno di un'azione diuretica marcata. Vengono preparate candite o ricoperte di cioccolato fondente.

Attenzione: Il rizoma e le foglie sono velenose, a causa della solanina che contengono.
Attenzione: i frutti acerbi per il loro contenuto in solanina sono tossici.


CURIOSITA'

* I frutti di alkekengi fatti confettare nella cioccolata costituiscono una ghiottoneria assai ricercata.

* Dioscoride ed Arnaldo da Villanova consigliavano i frutti di alkekengi nella ritenzione d'urina, mentre nel XIX secolo venivano impiegati per il trattamento delle forme reumatiche, in particolare la gotta.

* Conservata in inverno in vasi senza acqua questa pianta costituisce un bouquet d'effetto.

* Il frutto di Alchechengi, durante il processo di crescita, è circondato completamente dal calice vescicoloso del fiore che, prima verde e poi rosso, va man mano assumendo la forma di un grosso lampioncino (da cui uno dei nomi comuni italiani), simile alle lampade rosse che vediamo spesso appese all’entrata dei ristoranti cinesi, oggi frequenti nelle nostre città.

Questa pianta selvatica, dal frutto maturo edule, è sempre stata nota anche nel Bergamasco, tanto che ha potuto dar luogo alla formazione di un tipico vocabolo dialettale come “scatoloc” (= piccola scatola) ricordato da Caffi per Sotto il Monte, in collina, e per Cologno, in pianura.

Contemporaneamente però sul finire dell’ottocento, in Bergamo-città, la pianta era nota col termine di “chichìnger”, che richiama da vicino l’italiano “chichingero” ancora usato da G. Negri del suo “Nuovo Erbario Figurato” (1960).

Per spiegare però sia la stranezza del nome principale italiano [oltre agli altri 58 nomi dialettali riportati da Penzig per le varie regioni italiane nella sua “Flora popolare Italiana” (1924), che spesso a tale nome si rifanno], sia l’etimologia del binomio scientifico latino di questa pianta, occorre risalire ad oltre quattro secoli e mezzo fa, quando P.A. Mattioli nel 4° volume dei suoi “Commentarii .. De Materia Medica” così scriveva a proposito di questa solanacea:

“ L’alicacabo chiamano i Greci « Άλίκακαβος » [stessa pronuncia], e « Фυσαλίς » [pr. fusalìs], i Latini “Vesicaria” et Alicacabus”, gli Arabi “Kekergi “, “Alkekengi” e “Kekenegi”…. Nei più recenti dizionari etimologici la voce viene interpretata come derivante dall’arabo “Kakendj” o “al-ka_káng”.

Ciò premesso, i nomi si chiariscono: Il genere Physalis, creato da Linneo nel 1737, riprende il termine greco fusalis, che significa “pieno d’aria”, “gonfio” e, in modo traslato, “vescica”, facendo chiaro riferimento al calice rigonfio del fiore, che crescendo avvolge il frutto con una specie di camera piena d’aria.

Cinquant’anni prima di lui il francese Joseph Pitton de Tournefort (1656-1708), uno dei primi botanici sistematici, nella sua opera “Istitutiones rei herbariae”, (1694) aveva però già creato un genere ante litteram di Alkekengi, usando il nome arabo riportato da Mattioli; ma la sua denominazione non ebbe seguito, in quanto lo stesso Linneo nel 1753 costruì il binomio scientifico definitivo per la pianta, ancor oggi usato, riferendo il nome arabo alla “specie” e non più al genere.

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E’ interessante infine riferire la sequenza dei nomi volgari della specie riportati dagli autori italiani nelle loro opere e cioè:

”Alchachingi” e “Halicabo” (Mattioli, 1565),
“Alicacabo”, (Scopoli, 1772),
“Accatengi”, “Solatro Alicacabo” e Vescicaria (Bertoloni, 1833),
“Chichingeri” (Comolli, 1834),
“Alchechengi”, “Accatengi” e “Palloncini” (Fiori, 1926),
“Chichingero” (Negri, 1960) e “Alchechengi” e
“Palloncini” (Pignatti, 1982).

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fonti:
F.A.B.-FLORA ALPINA BERGAMASCA
Wikipedia

Edited by silvanapat - 4/5/2008, 14:49
 
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Vanilla16/12/95
view post Posted on 4/5/2008, 15:32




Ha una strana forma :o: però è carino ed è anke utile! :P Complimenti! :42m5b8n.gif:
 
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1 replies since 4/5/2008, 13:27   10008 views
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