Ha cinquant'anni il “Gronchi rosa”, ossia il francobollo più noto d'Italia. Più noto, non certo più costoso, anche se la valutazione economica -nel momento in cui viene paragonata alle altre produzioni del periodo repubblicano- è decisamente interessante. Tanto da aver giustificato, nel tempo, una ricca produzione di falsi, alcuni facili da individuare, altri insidiosi.
La serie, di tre valori, intendeva sottolineare un fatto epocale, almeno per l'epoca: il presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, avrebbe visitato tre Stati sudamericani in cui la presenza italiana -allora erano gli italiani ad emigrare per cercare di ritagliarsi un livello di vita migliore- risultava particolarmente folta. Le vignette offrono un aereo in volo sull'Atlantico ed evidenziati i confini del Bel Paese e di uno dei partner: l'Argentina, richiamata nel taglio da 170 lire, l'Uruguay, citato nel 185 ed il Perù, presente nel 205, quest'ultimo di colore appunto rosa.
Il viaggio sarebbe iniziato il 6 aprile, contestualmente alla distribuzione generale della sottolineatura dentellata. Per offrire la possibilità ai filatelisti di predisporre le buste da annullare con le obliterazioni previste, le vendite cominciarono il 3, Pasquetta.
Il resto è una serie di circostanze il cui avvicendamento appare difficilmente replicabile: una fonte -quella impiegata per disegnare i confini del Perù- superata; la non conoscenza dei contrasti territoriali con l'Ecuador che gravavano sul territorio amazzonico “dimenticato”; l'inconsueta prevendita e per di più avvenuta in un giorno festivo; l'attenzione e l'insistenza dell'allora ambasciatore di Lima nel protestare per lo svarione; il caos registrato agli sportelli quando la notizia della svista divenne pubblica; la stampa al volo del nuovo esemplare in grigio e l'inusitata decisione di coprire d'ufficio la carta valore errata con quella corretta; il rapido lievitare del prezzo di vendita (79.625 gli esemplari ufficialmente distribuiti).
E, su tutto, la scelta del ministero delle Poste e delle telecomunicazioni di non ritornare sui propri passi. Era impossibile -dichiarò il responsabile del dicastero, Lorenzio Spallino, in Parlamento per rispondere alle interrogazioni- “come da più parti interessate si era richiesto, di rimettere in vendita il francobollo ritirato, come non emesso e privo di valore postale, perché non solo non si sarebbero evitate le speculazioni che probabilmente sarebbero divenute di gran lunga più numerose, ma si sarebbe fatta cosa contraria alle deliberazioni prese e in violazione al principio di non tenere in circolazione «documenti», con rappresentazione figurativa errata”. Anche i ministri sbagliano…